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Educare alla cura dell’identità digitale e alla sicurezza online

January 04, 2018

Educare è l’opzione per garantire l’autonomia e far maturare la responsabilità nei più giovani. Non possiamo vietare l’accesso al digitale, possiamo invece formarli perché lo abitino con competenza e curando la propria e l’altrui sicurezza. Compito di genitori e della scuola è far crescere cittadini in grado di affrontare le sfide della società della conoscenza e la progressiva integrazione tra dimensione analogica e dimensione digitale.

Reputazione digitale e sicurezza

Come genitori di giovani cittadini digitali che frentano la scuola secondaria di primo grado dobbiamo gestire il compito, non facile, di far accedere alla rete i nostri figli:

• rispettando le regole,
• garantendo la loro sicurezza,
• tutelando loro reputazione. 

Il primo passo da compiere, e non ci stancheremo mai di ripeterlo, è non mentire riguardo all’età! Per attivare un account Google, per esempio, occorre aver compiuto almeno 13 anni. Stiamo rispettando questa regola?

Il vincolo dell’età minima richiesta è presente in molti servizi, anche di messaggistica istantanea, che i giovanissimi adoperano. Il nostro compito non è vietare il digitale, il nostro compito è guidarli, senza fare eccezioni, a rispettare le norme d’uso per garantire la loro sicurezza.

Il traguardo a cui dobbiamo puntare e raggiungere, grazie ad un’attiva collaborazione con la scuola, è il consolidamento e l’acquisizione di competenze digitali specifiche. Attraverso l’affidamento di compiti o la richiesta di risolvere problemi possiamo fare crescere la competenza digitale dei nostri ragazzi.

Proviamo a “metterli alla prova” per esempio chiedendo loro di realizzare una guida digitale per essere sicuri online da condividere con i loro coetanei o di descrivere in dettaglio come interverrebbero nel caso di aggressione da parte di cyberbulli a loro danno o per non lasciare solo un/a compagno/a.

Facciamo nostri dei modelli di riferimento

Ma di quali competenze stiamo parlando? Non è facile per un genitore inquadrare nel dettaglio cosa voglia dire “essere competenti digitali”. È per questo importante disporre di riferimenti aggiornati a cui rivolgerci. Per i cittadini, per i genitori e i docenti certamente uno strumento su cui contare è il framework europeo DigComp citato nel Piano Nazionale Scuola Digitale e nei Bandi PON per il finanziamento dei percorsi formativi sul tema della cittadinanza digitale diretti agli studenti.

Il modello DigComp, nella versione 2.0, inserisce nell’area di competenza 2. Comunicazione e collaborazione la competenza specifica 2.6 Gestire l’identità digitale (Creare e gestire una o più identità digitali, essere in grado di proteggere la propria reputazione, occuparsi dei dati prodotti mediante l’uso di diversi strumenti digitali, ambienti e servizi).

Nell’area di competenza 4. Sicurezza sono descritte le competenze 4.2 Proteggere i dati personali e la privacy (Proteggere i dati personali e la privacy in ambienti digitali. Sapere in che modo utilizzare e condividere dati personali proteggendo se stessi e gli altri da eventuali danni. Essere a conoscenza che i servizi digitali utilizzano una “Privacy policy” per informare su come i dati personali sono utilizzati); 4.3 Tutelare la salute e il benessere (Saper evitare rischi e minacce al benessere fisico e psicologico durante l’utilizzo di tecnologie digitali. Essere in grado di proteggere se stessi e altri da possibili pericoli in ambienti digitali – ad esempio cyber bullismo. Essere a conoscenza delle tecnologie digitali per il benessere e l’inclusione sociale).

Per spiegare ai ragazzi cosa voglia dire accrescere il proprio livello di competenza digitale possiamo adoperare l’aggiornamento 2.1 di DigComp che il Centro di Ricerca europeo ha recentemente pubblicato e che si integra con il processo di revisione realizzato con DigComp 2.0.

La narrazione grafica “Imparare a nuotare nell’oceano del digitale” ci sarà certamente d’aiuto. Sono 8 i livelli di competenza che possiamo raggiungere, essi si raggruppano in competenze di livello: base, intermedio, avanzato ed altamente specializzato.

Articolo di Sandra Troia

Identità Digitale Defender: le tracce dei tuoi ragazzi online, i rischi per la loro privacy, e come rimediare

January 04, 2018

Adolescenti e privacy sono due termini spesso in forte contrasto tra loro.

Non solo i nostri ragazzi aprono numerosi account per sperimentare giochi, applicazioni per cellulare, e nuovi social network, si scambiano le password, ma dimenticano anche facilmente le credenziali di accesso del loro indirizzo email, obbligandoli a crearne di nuovi per registrarsi nuovamente sui loro canali Web preferiti.
Gli account vecchi vengono subito dimenticati.

Ma come ben sappiamo noi adulti Internet non dimentica, e il risultato sono centinaia se non migliaia di tracce lasciate dai nostri giovani, dove ogni micro-traccia rappresenta un frammento della loro vita online, e di conseguenza anche della loro vita offline.

Tutta questa frammentazione induce l’adulto in inganno, in quanto ci da la percezione che sia impossibile per un malintenzionato riuscire a mettere insieme dei pezzi significativi delle vite dei nostri ragazzi, tali da poterne costituire una minaccia.

Ma sarà davvero così?

Lo abbiamo chiesto a Gianluca Markos e Luca Zamboni, ideatori del portale gratuito Identità Digitale Defender, che potete trovare su www.identitadigitaledefender.cloud , e con la quale stiamo stringendo delle collaborazioni per aiutarti nel difficile compito della gestione della vita online dei tuoi figli.

La piattaforma, che come abbiamo già accennato è gratuita, ti permette di risalire agli account lasciati aperti e dimenticati dai tuoi figli attraverso un dato semplicissimo: l’indirizzo email.
Non solo: ti permette anche di cancellarti facilmente dai servizi Web che non utilizzi più, e ti mette a disposizione un team di esperti, tecnici, avvocati, noi di Bullismo Online in quanto psicologi, per rispondere ai tuoi dubbi.

Ovviamente suggeriamo la piattaforma anche per noi adulti!

Non ci resta che lasciarvi alla nostra intervista, in cui Gianluca e Luca ci spiegano quali rischi corrono i nostri figli nel lasciare così tanti account aperti, e quali sono i servizi offerti dalla loro piatatforma, che vi invitiamo a visitare su www.identitadigitaledefender.cloud.

Autore Ivano Ferro

Sicurezza, YouPol: l’app che permette di denunciare bullismo e cyberbullismo da anonimo

January 04, 2018

Sicurezza a 360 gradi. Si chiama YouPol ed è l’app lanciata dal ministero dell’Interno per denunciare anche in forma anonima i reati di bullismo, cyberbullismo e spaccio di droghe. Il tutto con un semplice click. L’applicazione è scaricabile gratuitamente ed è semplice da usare.

Come funziona YuoPol?

La sicurezza online è importante quanto quella offline. Per segnalare un reato alla Polizia basta andare su Google Play, scrivere YouPol e l’app verrà scaricata in automatico. Attraverso l’applicazione è possibile denunciare con l’anonimato inviando le immagini, i video oltre al testo che segnala il reato o la condotta violenta.

Tutto avviene in automatico, grazie anche ai menù a tendina. Oltre alla georeferenziazione che consente alla sala operativa della questura che riceve la segnalazione e di sapere esattamente dove sta avvenendo l’evento, l’app consente anche di effettuare una chiamata di emergenza al numero 113 o 112 NUE.

“Per ora, l’app funziona a Roma , Milano e Catania. Prossimamente – dicono dal ministero dell’Interno – nel febbraio 2018, verrà estesa anche agli altri capoluoghi di regione e da agosto sarà implementata in tutte le province italiane”. L’app garantisce la sicurezza online e offline sia agli adulti e che ai minori.

“L’applicazione permette all’utente di interagire con la Polizia di Stato inviando segnalazioni (immagini o testo) relative a episodi di bullismo – si legge su Google Play- e di spaccio di sostanze stupefacenti. Immagini e testo vengono trasmesse all’ufficio di Polizia e sono geolocalizzate consentendo di conoscere in tempo reale il luogo degli eventi.E’ possibile anche l’ invio e la trasmissione in un momento successivo con l’ inserimento dell’ indirizzo del luogo in cui si è verificato l’ evento. L’ applicazione è stata realizzata per prevenire le fenomenologie del bullismo e dello spaccio delle sostanze stupefacenti”.

“Il cuore della questione-  ha sottolineato il ministro dell’Interno Marco Minniti-  è che denunciando questi atti di violenza, non stiamo rompendo nessun patto d’onore, ma stiamo facendo l’opposto: stiamo aiutando una persona in difficoltà che sta subendo violenza e che potrebbe rimanere segnata da questa esperienza e, dall’altro lato, stiamo anche aiutando chi la commette ad abbandonare questi atteggiamenti che a loro volta lo possono segnare e condizionare nella sua vita da adulto”.

La sicurezza è fondamentale per ognuno di noi. L’app è una chiamata per tutti gli osservatori che adesso possono diventare sentinelle di fenomeni importanti che coinvolgono sempre più adolescenti e non solo.

E se la soluzione fosse un App? Ecco risolto il problema dei telefoni in classe

January 27, 2017

Inutile negarlo; gli studenti entrano in classe muniti di smartphone e, superfluo da dire, con collegamento ad Internet e accesso su tutte le app scaricate. Ma in certi casi l’utilizzo del telefonino in classe da parte dell’alunno diventa motivo di distrazione e un grosso problema per il docente.

 

L’ultima direttiva ministeriale sull’argomento, emanata dal Miur, risale al 2007, dove l’uso del telefono era negato. Successivamente il tiro è stato giustamente raddrizzato, dallo stesso ministero dell’Istruzione, anche in vista delle innovazioni non solo tecnologiche del sistema scolastico (Lim, Wifi – Piano Digitale Nazionale) senza dare però istruzioni dettagliate alle scuole sui comportamenti da adottare. Lasciando quindi la materia al libero arbitrio dell’autonomia scolastica di ogni istituto, che deve decidere che tipo di regole e sanzioni applicare.

Anche il Garante per la Protezione dei Dati Personali, ultimante, ha ritenuto opportuno dover intervenire sull’uso dei telefonini in classe, attraverso un vademecum creato ad hoc, non solo per gli studenti ma anche per i genitori.

Ecco cosa si legge

“Le istituzioni scolastiche hanno, comunque, la possibilità di regolare o di inibire l’utilizzo di registratori, smartphone, tablet e altri dispositivi elettronici all’interno delle aule o nelle scuole stesse”.

Ma se il telefonino in classe rappresenta una minaccia, qual è la soluzione?

Un’app. Due universitari hanno inventato Pocket Points, un’app che offre delle ricompense a tutti gli studenti che non utilizzano il telefono durante le lezioni. Servirsi dell’app è molto semplice. È sufficiente aprire l’applicazione all’interno della scuola, bloccare il telefono, e iniziare a guadagnare punti. I punti vengono poi spesi in imprese locali o on-line per sconti incredibili, coupon, o addirittura regali.

Il successo è stato garantito, non solo sa parte degli studenti che hanno scaricato l’app per ottenere i vantaggi, ma anche da parte delle tante imprese locali e online che hanno creduto e aderito al progetto.

Pocket Points è nata nel Nord della California. “Il problema di utilizzo degli smartphone in classe era evidente, si legge nel sito, quindi abbiamo deciso di creare una soluzione. Abbiamo pensato a noi… Che cosa potrebbe incentivare gli studenti a lasciare fuori i loro telefoni se non del cibo gratis? Grazie alla collaborazione con le imprese locali, disposte a offrire sconti attraverso l’applicazione, è nato Pocket Points”.

L’applicazione è diventata subito popolare tra gli studenti. Questo ha sollevato l’attenzione di diverse scuole in tutta la nazione, che hanno chiesto di aderire anche loro al progetto.  L’applicazione è andata avanti con un piccolo numero di scuole, aggiunte durante il suo secondo semestre in cui si vide subito un drammatico aumento della crescita.

Da allora, Pocket Points si sta espandendo in altre scuole il più velocemente possibile per tenere il passo con la domanda degli studenti, degli insegnanti e delle imprese. Attualmente, l’app è disponibile in più di 200 scuole negli Stati Uniti e in Canada.

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Cyberbullismo: un disagio che proviene da lontano?

January 27, 2017

“Hanno una mano sul mouse e davanti agli occhi lo schermo di un pc, con l’altra mano scrivono messaggi sullo smartphone, un auricolare porta ad un orecchio la musica e con l’altro orecchio ascoltano la Tv sintonizzata sul canale preferito”. 

Quasi il 70% sono a rischio #dipendenza da #Internet. Inoltre, al contrario degli adulti, i giovani preferiscono rendere pubbliche informazioni di carattere personale e privato.

L’Indagine Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza, realizzata dall’Eurispes e dal Telefono Azzurro, giunge nel 2012 alla tredicesima edizione e fornisce una fotografia degli atteggiamenti, delle idee e dei comportamenti dei bambini e degli adolescenti, individuando le trasformazioni avvenute nell’ultimo anno e cogliendo i più recenti trend che riguardano i giovani italiani.

L’Indagine è stata focalizzata sui temi dei media e nuove tecnologie,  della scuola, dei comportamenti a rischio.  Di particolare interesse tra i fenomeni affrontati nell’Indagine il #sexting, la #violenza all’interno delle #giovani coppie, le fughe da casa, il #giocod’azzardo online, l’impatto della crisi economica.

A tracciare l’Identikit del #Bambino e dell’#Adolescente le risposte fornite da 1.100 bambini dai 7 agli 11 anni e 1.523 ragazzi di età compresa tra i 12 ed i 18 anni. La rilevazione, realizzata grazie al contributo delle #scuole sul territorio nazionale, ha ha coinvolto 23 scuole di ogni ordine e grado.

Cyberbullismo, reato di diffamazione WEB e il tribunale penale territoriale competente

December 29, 2016

Articolo di di Dario Coglitore, avvocato del Foro di Palermo

Il Cyberbullismo richiama differenti fattispecie criminose che si concretizzano in atteggiamenti e comportamenti volti sostanzialmente a  umiliare la vittima tramite l’utilizzo di strumenti elettronici quali l’e-mail, la messaggeria istantanea, social network,  i siti web e gli smartphone.

Qualora si intenda perseguire penalmente simili condotte, riconducibili al reato di diffamazione ex art. 595 c.p.,  occorre in primo luogo individuare il tribunale penale competente per territorio.

Ebbene, partendo dal presupposto che sussista nel caso di specie la giurisdizione italiana, la regola generale di riferimento è certamente quella del locus commisi delicti.

In sostanza, ai sensi degli artt. 8 e 9 c.p.p., competente a conoscere del reato sarebbe il giudice del luogo dove l’illecito si è consumato o, se la competenza non può essere così determinata, dell’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione; diversamente, deve guardarsi al domicilio o alla residenza dell’imputato.

Tuttavia, considerata la peculiarità delle condotte illecite poste in essere dal cyberbullo, il quale agisce avvalendosi della connessione ad Internet, l’applicazione dei richiamati criteri si rivela assai problematica.

Ed infatti occorre chiedersi se sia necessario guardare al luogo in cui sono stati commessi i fatti di cyberbullismo o al luogo da cui sono stati immessi, e messi a disposizione in Rete, i dati offensivi oppure al luogo in cui si sono determinati gli effetti della condotta criminosa e, quindi, la lesione dei beni della vittima.

Riprendendo il formante giurisprudenziale in tema di diffamazione telematica, caso certamente applicabile al fenomeno del cyberbullismo,  in assenza di una specifica normativa sul punto, i giudici individuano il momento consumativo all’atto della effettiva conoscenza altrui del materiale diffamatorio.

E’ rispetto a tale momento, quindi, che deve valutarsi la competenza territoriale.

La Corte penale di Cassazione con Sent. n. 16307/2011 ha ribadito che

il locus commisi delicti della diffamazione telematica è da individuare in quello in cui le offese o le denigrazioni sono percepiti da più fruitori della rete e quindi nel luogo in cui il collegamento viene attivato e ciò anche nel caso in cui il sito web sia stato registrato all’estero purché l’offesa sia stata percepita da più fruitori che si trovano in Italia”

(Nello stesso senso, anche Cass. pen., n. 25875/06; Cass. pen.,  n. 2739/11 e Cass. pen.,  n. 964/11; Corte d’Appello di Milano, n. 8611 del 27.02.2013).

Il reato di diffamazione è, infatti, un reato di evento, inteso quest’ultimo come avvenimento esterno all’agente e causalmente collegato al comportamento di costui. Si tratta di evento non fisico, ma, per così dire, psicologico, consistente nella percezione da parte del terzo (rectius dei terzi) della espressione offensiva, che si consuma non al momento della diffusione del messaggio offensivo, ma al momento della percezione dello stesso da parte di soggetti che siano terzi rispetto all’agente ed alla persona offesa.

Tuttavia è oltremodo difficile determinare il momento consumativo del reato ogni qualvolta questo sia commesso a mezzo internet: com’è noto, tutti possono accedere liberamente e da ogni luogo al web sicché è quasi impossibile individuare il luogo in cui la persona offesa apprende di essere stata diffamata sui social network o su un sito web.

L’unico rimedio certo rimane, quindi, quello indicato all’art. 9, comma 2, c.p.p. sicché, conclude la Corte di Cassazione, competente sarà il Tribunale del domicilio o della residenza dell’imputato.

Tuttavia si segnala un recente orientamento giurisprudenziale (Cass. pen, sez., n. 31677/15) secondo cui “nei reati di diffamazione commessi a mezzo della rete internet, ove sia impossibile individuare il luogo di consumazione del reato, in ossequio alla regola generale, e sia invece possibile individuare il luogo in remoto in cui il contenuto diffamatorio è stato caricato, tale criterio di collegamento, in quanto prioritario rispetto a quello di cui al comma II dell’art. 9 c.p.p., deve prevalere su quest’ultimo, cosicché la competenza risulta individuabile con riferimento al luogo fisico ove viene effettuato l’accesso alla rete per il caricamento dei dati sul server.

Ad ogni modo, in ragione del sempre maggior utilizzo illecito del web è auspicabile che il Parlamento intervenga in materia con una legge ad hoc, attribuendo magari valore legale ad un filone giurisprudenziale ormai consolidato.

Articolo a cura di Dario Coglitore, avvocato del Foro di Palermo 

Questo articolo è stato pubblicato in normativa cyberbullismo

Facebook, Twitter, Instagram: le misure social contro il Cyberbullismo

December 29, 2016

Social network e cyberbullismo. Il binomio è sempre più stretto e secondo i sondaggi è proprio nei social che il fenomeno si diffonde in maniera incontrollabile, tanto da spingere e costringere le varie community a prendere provvedimenti.

 

Secondo Statista.com  il principale social utilizzato a livello mondiale è Facebook, seguito da Whatapp e Facebook Messanger. I focus italiani dimostrano però l’abbandono da parte dei più giovani di Facebook e uno spostamento verso altri social, ad esempio Snapchat dato in classifica mondiale al 15°posto. Resta stabile in Italia, nella fascia adolescenziale, invece l’uso di Whatapp.

Per quanto riguarda invece la classifica dei Paesi che più utilizzano i Social l’Italia è fanalino di coda, piazzandosi al 20emo posto nella graduatoria mondiale. Al primo posto troviamo la Corea del Sud, al secondo gli Emirati Arabi Uniti e al terzo Hong Kong.

Ma l’allarme dell’aumento dei casi di cyberbullismo è unisono tanto che Facebook, Twitter e Instagram hanno deciso di potenziare i filtri di controllo e il blocco da parte dei propri utenti.

Ecco come fare per eliminare account

Facebook ⇒ Se clicchiamo qui https://www.facebook.com/safety andiamo sulla pagina “Sicurezza” di Facebook, dove troviamo tutto quello che potrebbe servire per segnalare contenuti, immagini, profili e pagine, anche nel caso in cui non abbiamo nessun account Facebook. Ma l’aspetto importante che il social, più usato, ha voluto evidenziare è la prevenzione. Nella stessa pagina infatti c’è la “Piattaforma di prevenzione contro il bullismo”, divisa in tre sezioni: adolescenti, genitori, educatori. Molto interessante è la considerazione che viene data, all’interno della sezione genitore ed educatore, alla figura del bullo. Potrebbe succedere, infatti, che un genitore scopra che il proprio figlio sia un bullo. Tanto quanto la vittima, è fondamentale che il bullo sia sostenuto attraverso il dialogo e l’avvio di un’azione di sensibilizzazione.

Ad ogni modo per segnalare in maniera veloce un post basta cliccare sulla freccia in alto a destra

witter ⇒ Clicca qui per segnalare comportamenti offensivi – Il social ha attivato la funzione “mute” e bloccare in questo modo gli account non desiderati. Dal social inoltre anticipano che questa funzione potrà scattare anche per le singole parole (come Instagram) in modo da bloccare frasi o termini offensivi che disturbano il lettore. Dalla community inoltre sono state riviste le modalità per segnalare e denunciare atteggiamenti violenti o che violano semplicemente le regole di Twitter. E’ possibile denunciare dunque qualsiasi cosa offenda le persone “in base alla razza, l’etnia, l’origine, l’orientamento sessuale, il genere, l’identità di genere e la religione”, ed è possibile per denunciare post offensivi anche diretti ad altri utenti.

Instagram ⇒ Sul social, di proprietà di Mark Zuckerberg, oltre a segnalare i commenti, le immagini e gli account non desiderati è possibile segnalare delle key words che grazie ad un algoritmo e ad altri strumenti anti troll, riescono a bloccare i contenuti che racchiudono le parole scelte. Fino ad ora, infatti, i commenti considerati offensivi venivano cancellati, o per meglio dire, segnalati con uno “swipe”.

Ma una domanda sorge spontanea. Serviranno tutte queste misura e far diminuire il numero delle vittime coinvolte in episodi di cyberbullismo?

Questo articolo è stato pubblicato in Cyberbullismo in Italia 

Dai telefoni in classe alle foto durante le recite a scuola. Il Garante detta le regole

December 19, 2016

Si possono usare gli smartphone in classe? Come regolare l’utilizzo di internet, all ’interno della scuola? E se durante le lezioni un alunno registra il professore, cosa bisogna fare? A queste domande risponde la guida istituita dal Garante per la Protezione dei Dati Personali che detta le istruzioni non solo per gli studenti ma anche per gli adulti. A decidere dunque sono le istituzioni scolastiche.

Una cosa però è certa: “È possibile registrare la lezione esclusivamente per scopi personali, ad esempio per motivi di studio individuale. Per ogni altro utilizzo o eventuale diffusione, anche su Internet, è necessario prima informare adeguatamente le persone coinvolte nella registrazione (professori, studenti…) e ottenere il loro esplicito consenso. Nell’ ambito dell’autonomia scolastica, gli istituti possono decidere di regolamentare diversamente o anche di inibire l’utilizzo di apparecchi in grado di registrare. In ogni caso deve essere sempre garantito il diritto degli studenti con diagnosi DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) o altre specifiche patologie di utilizzare tutti gli strumenti compensativi (come il registratore) di volta in volta previsti nei piani didattici personalizzati che li riguardano”.

Ma se da un lato si avverte l’esigenza di disciplinare i comportamenti degli studenti per le vie del web dall’ altro il Garante tira in ballo, all’ interno del documento,anche i genitori, gli adulti in generale e le scuole.

Ad esempio, a proposito d’immagini e smartphone, i genitori possono riprendere la recita del figlio? E queste immagini possono essere diffuse?

“Non violano la privacy le riprese video e le fotografie raccolte dai genitori durante le recite, le gite e i saggi scolastici. Le immagini, in questi casi, sono raccolte per fini personali e destinate a un ambito familiare o amicale e non alla diffusione.  Va però prestata particolare attenzione alla eventuale pubblicazione delle medesime immagini su Internet, e sui social network in particolare.  In caso di comunicazione sistematica o diffusione diventa infatti necessario, di regola, ottenere il consenso informato delle persone presenti nelle fotografie e nei video”.

All’ interno della guida il Garante evidenzia i rischi del cyberbullismo e pone l’accento sulle regole generali del rispetto della privacy da parte della scuola.

Sicurezza Internet, la proposta di legge: istituire un' anagrafe digitale

December 29, 2016

Per pubblicare qualsiasi contenuto sul web bisogna essere in possesso di un codice d’identità digitale, ricavato attraverso il codice fiscale, ed istituire un’anagrafe digitale, in grado di individuare subito gli utenti che non rispettano le regole del web. Questa è la proposta di Renato Schirripa, lettore di intreccio.eu, che in seguito alla tragedia di Tiziana Cantone ha pensato ad una possibile legge, che abbia il solo scopo di evitare il ripetersi di episodi di cronaca nera e di rintracciare subito tutti coloro che commettono reati a mezzo internet. 

“La questione spinosa sia per il legislatore, che per i fornitori di servizi web, è quella di trovare un modo per autenticare in maniera reale, e non virtuale, il soggetto che pubblichi testi, immagini o video oltraggiosi. Il fatto è che la tecnologia corre e procede spedita, mentre la legislazione è lenta e macchinosa. Le due realtà infatti sarebbero dovute andare a braccetto già 10/15 anni addietro, ad esempio istituendo l’anagrafe digitale. Se si procedesse in questo senso, in maniera veloce, istituendo l’anagrafe digitale le cose potrebbero migliorare. E’ chiaro che servirebbe una legge a livello europeo, ma se venisse approvata a livello nazionale sarebbe uno stimolo per gli altri Paesi.

L’anagrafe digitale potrebbe essere ricavata dallo stesso codice fiscale, che ogni soggetto riceve al momento della nascita, e quindi nei documenti d’identità inserire anche il codice d’identità digitale ai fini di pubblicare sul web, con possibilità di sostituzione del codice in caso di furto e smarrimento del documento, in modo che se qualcuno dovesse entrarne in possesso non potrebbe utilizzarla.

Seconda proposta.  Obbligare gli addetti (proprietari dei siti, motori di ricerca etc,) ad acconsentire affinchè gli utenti, oggetto di ingiurie e pubblicazioni senza il loro consenso, tramite un semplice link e/o pulsante diventino “amministratori temporanei” della pagina web, recante le offese, e quindi provvedere in maniera autonoma a cancellare il materiale incriminato.

In questo modo apparentemente nulla cambierà, ognuno sarebbe libero di commentare e pubblicare tutto nel web, come ha sempre fatto, ma potrà continuare a farlo con la propria identità digitale, senza nascondersi da nickname, ad esempio. Quindi le pubblicazioni che saranno messe in rete a mio giudizio saranno più responsabili dato che insieme ai commenti, video e foto darà essere visibile anche il numero d’identità digitale.

Mi auguro che qualche legislatore legga questa mia e proposta e gli dia il nome di Tiziana Cantone”

Firmato Ing. Renato Schirripa 

Identità virtuale, i giovani non hanno idea di cosa sia. Ecco dove intervenire

December 29, 2016

“Di cyberbullismo non è mai morto nessuno. In Italia, infatti, il problema non è il bullismo online, ma la gogna mediatica che si sviluppa intorno a questo fenomeno. Così come a preoccupare è la mancata consapevolezza, non solo da parte dei più giovani, dell’identità virtuale e di conseguenza della reputazione digitale”.

 

A tracciare un quadro sulle nuove dinamiche emergenti sui social in Italia è Luca Pisano, direttore del Master in Criminologia dell’Ifos che afferma: ”Secondo la ricerca, effettuata su un campione di 1300 adolescenti, è emerso che i giovani non hanno compreso il significato e l’importanza dell’identità virtuale e quindi della reputazione digitale”. “I fenomeni più diffusi in Italia, inoltre, secondo lo studio, sono il sexting e l’adescamento online”.

I dati pubblicati all’interno del libro “L’identità virtuale. Teoria e tecnica dell’indagine socio- psicopedagogica online”, edito da Franco Angeli, è un manuale rivolto anche ai genitori, attraverso il questionario “Parent 1.0” per la valutazione delle “competenze genitoriali virtuali“. Il test analizza i comportamenti off e online della famiglia e permette di misurare la capacità dei genitori di educare i figli a un uso responsabile delle nuove tecnologie.

Di fondamentale importanza però è l’inserimento, all’interno dell’area penale minorile, degli indicatori per la valutazione della “maturità psicologica virtuale”, nei casi in cui i ragazzi commettono reati utilizzando internet e delle riflessioni sull’opportunità di disporre la mediazione penale, l’irrilevanza del fatto, la messa alla prova e il perdono giudiziale per i minorenni che non concettualizzano adeguatamente la propria identità virtuale.

Che cosa significa “Capacità di intendere e di volere”? Capacità, sussistente al momento del fatto e rilevante in ordine allo stesso, che si manifesta quale idoneità a rendersi conto della realtà e del valore sociale delle proprie azioni. ⌋

Ed è proprio da quest’input che i suggerimenti del direttore dell’Ifos sono stati utili ad apportare alcune modifiche al Ddl 1261 B, il primo provvedimento legislativo in materia di cyberbullismo, non ancora approvato.

“In pratica – spiega Luca Pisano- se un ragazzo viene molestato su più social, ad esempio Facebook e Instagram, è possibile avviare la procedura di rimozione dei contenuti offensivi solo su Facebook e specificare che la molestia avviane, ad esempio, anche su Instagram. Sarà poi Facebook a comunicare con Instagram affinchè il contenuto offensivo venga rimosso”.

Ma al di là dei provvedimenti legislativi, e non, e delle eventuali modifiche del codice penale il messaggio che Luca Pisano lancia è uno solo: “Facciamo prevenzione, e facciamola bene. Tenendo conto di quelli che sono i punti di debolezza dell’educazione digitale dei nostri ragazzi”.

Questo articolo è stato pubblicato in Cyberbullismo in Italia

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